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Facciamo chiarezza su una scoperta di questi giorni che riguarderebbe i messaggi Whatsapp, che sembrerebbero essere letti da Facebook

WhatsApp forse non è così privato come pensiamo che sia, né come dichiara di essere, ma c’è (in parte) una spiegazione.

In queste ore una scoperta di ProPublica ha consentito di fare chiarezza relativamente ad un importante aspetto relativo alla sicurezza dei messaggi veicolati tramite WhatsApp. Sebbene Facebook abbia sempre professato massimo rispetto della privacy degli utenti, infatti, la cosa sembra in contraddizione con quanto scoperto: Menlo Park e altre sedi a livello internazionale ospiterebbero oltre 1000 lavoratori a contratto la cui funzione è quella di analizzare un grande numero di messaggi per vagliarne la potenziale pericolosità.

1000 persone al lavoro sulla moderazione, insomma, con speciale potere di accedere a messaggi privati. Tutto ok, quindi?

La spiegazione

Il dubbio è dunque lecito: se nessuno può leggere i messaggi WhatsApp inviati, tranne mittente e destinatario (così come spiegato a titolo ufficiale da Mark Zuckerberg in apposita seduta pubblica), come possono i lavoratori assunti da Facebook venire a conoscenza del loro contenuto? Come può un lavoro di crittografia end-to-end essere tale se nel mezzo si configura un elemento censorio in grado di accedere a qualsiasi messaggio per carpirne i contenuti?

Più di mille moderatori leggono i messaggi che vengono segnalati come inappropriati o violenti. Secondo Facebook questa pratica non è incompatibile con la crittografia end-to-end della piattaforma

Facebook e i messaggi WhatsApp: facciamo chiarezza

La spiegazione è quella fornita da Facebook secondo cui il meccanismo non andrebbe in contraddizione con la crittografia: semplicemente quando un utente segnala un messaggio come potenzialmente pericoloso o inopportuno, il processo si configura come un invio del messaggio stesso a Facebook. Di fatto è come un tradizionale “inoltra”, aprendo una nuova comunicazione end-to-end tra l’utente e l’azienda. A questo punto il messaggio può essere letto e vagliato, così da poter intraprendere le azioni previste per la casistica specifica.

WhatsApp, sulla stessa falsa riga, ha confermato questo tipo di disamina spiegando che il lavoro operato su spam e abusi non rappresenta certo una violazione della privacy degli utenti, ma una collaborazione offerta agli stessi per “ripulire” le bacheche ed i contatti.

Il caso ha consentito di far luce sul meccanismo. Offrendo ulteriore chiarezza sui modi in cui il gruppo agisce nella verifica dei contenuti, nella gestione delle segnalazioni e nel rispetto della privacy.

Problema di metodo

C’è però qualche piccolo problema anche con questo metodo. I moderatori di WhatsApp hanno detto a ProPublica che il programma di intelligenza artificiale dell’app invia loro un numero eccessivo di post innocui.

Oltre a questo, una volta flaggato un contenuto, come detto, anche i quattro messaggi precedenti nella chat raggiungono i moderatori e le informazioni sulle “recenti interazioni con l’utente segnalato”, che potrebbero però includere anche dati sensibili come numeri di telefono, email e foto del profilo, tra le altre cose. WhatsApp inoltre raccoglie i metadati delle nostre conversazioni e non fa mistero di condividerli con le forze dell’ordine. A differenza di app come Signal che salvano solo le informazioni di contatto.

In un’audizione al Senato del 2018, Mark Zuckerberg aveva assicurato che “non vediamo nessuno dei contenuti in WhatsApp, è completamente crittografato”. Alla luce delle nuove informazioni e da quello che ammette la stessa Facebook lo scenario è ben diverso. WhatsApp può effettivamente leggere i nostri messaggi senza il nostro consenso.

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